Il nostro patrimonio è l’eredità dal nostro passato. È un qualcosa con cui viviamo oggi e, si spera, qualcosa che potremo trasmettere a future generazioni. In ogni paese, il patrimonio culturale è una testimonianza di vita e storia, ed è anche una fonte insostituibile di creatività ed ispirazione. Il nostro patrimonio, come il nostro DNA, determina ciò che siamo dandoci sia un’identità, sia i valori che guideranno le nostre vite in un mondo in costante mutamento.
Eppure, nonostante la sua importanza, non c’è nessuna garanzia che il patrimonio possa sopravvivere e che possa essere trasmesso a generazioni future. Questo era vero nel passato quanto lo è oggigiorno. Per questo motivo negli ultimi anni un numero crescente di paesi hanno avviato iniziative per proteggere e preservare i propri patrimoni culturali. Queste iniziative sono mirate non solo a proteggere monumenti famosi, edifici ed il paesaggio naturale, ma anche tecniche di costruzione e lavorative, palazzi ed oggetti che riflettono la storia e modi di vita di vari paesi.
Vi è un crescente riconoscimento in Asia, sia da parte dei governi sia degli individui, che il patrimonio dev’essere preservato e protetto. Ad esempio, nel febbraio 2006, il Consiglio di Stato cinese ha designato il secondo sabato di giugno come Giornata Nazionale dei Beni Culturali e quindi di una festa nazionale. Quest’iniziativa era mirata a far riconoscere ai propri cittadini il patrimonio nazionale e delle iniziative governative per proteggere questi beni.
La Cina, come altri paesi, ha a che fare con molti problemi che potrebbero erodere o distruggere questo patrimonio. L’industrializzazione e la crescita economica vanno di pari passo con la rapidissima crescita della popolazione e dei cambiamenti sociali. Quest’ultimi cambiano stili di vita e richiedono nuovi utilizzi del territorio nazionale e delle sue risorse. Il cambiamento climatico e l’inquinamento possono anche distruggere paesaggi, edifici e tesori del passato. Guerre, conflitti e tensioni sociali possono tutte contribuire a questo processo di decadenza.
Ma forse il problema più spaventoso è semplicemente l’incuria umana, l'incapacità d’agire quando il patrimonio culturale è in grave pericolo. La cultura non può essere protetta solamente da regolamenti. È la gente che ha bisogno di riconoscere, valorizzare e conservare il proprio patrimonio per garantire la sua sopravvivenza.
Pensate alla storia di Roma (Lançon 2001). Nel 425 dC, quando Roma aveva già più di 1.000 anni, l’imperatore Maggioriano era talmente preoccupato per la demolizione degli edifici storici che ordinò che qualunque ufficiale autorizzasse tale lavoro fosse multato 50kg d’oro. Coloro che avessero collaborato con lui sarebbero stati puniti con frustate o avrebbero avuto perfino le mani amputate! Nonostante questo decreto, nel corso dei secoli la maggior parte dell’impero romano fu distrutto. La distruzione non era dovuta solamente alle invasioni barbariche, ma dagli stessi romani che a poco a poco demolirono le vecchie costruzioni per riutilizzare blocchi di marmo, e sciolsero sculture per ottenere calce per costruttori o bianco di calce per pittori. Ora che la gente imparò ad apprezzare il valore del patrimonio di Roma antica, oltre il 90% di esso era scomparso: Roma divenne una città di rovine allettanti.
In Europa vi sono oltre 200 organizzazioni, sia governative che ONG, che operano a livello nazionale per conservare il ricco patrimonio culturale europeo. In più, molte altre lavorano per tutelare il patrimonio di città, paesi e villaggi individuali.
Le radici dell’approccio moderno per la conservazione del patrimonio, possono essere trovate in gran parte nel Regno Unito, dove il National Trust (http://www.nationaltrust.org.uk) fu fondato nel 1895 da tre filantropi Vittoriani (Gaze 1988).
Preoccupati dall’impatto dello sviluppo quasi fuori controllo e dall’industrializzazione, i tre fondarono il Trust per agire da protettore della campagna e dei suoi edifici minacciati da questi problemi.
Oggi, il National Trust si prende cura di oltre 617.763 ettari di campagna, più di 709 miglia di costa e più di 300 dimore storiche, giardini, monumenti antichi, riserve naturali e parchi (The National Trust 2008).
Il National Trust è il proprietario terriero più grande del Regno Unito ed anche l’organizzazione più grande d’Europa per la conservazione di tali beni.
Il Trust è un ente di beneficenza completamente indipendente dal governo e dalle grandi imprese. Essa s’affida alla generosità dei suoi 3,56 milioni di iscritti, da sostenitori che danno piccoli contributi, e dalle proprie attività commerciali. Nel 2007-2008, il National Trust aveva un reddito di £389 milioni e impiegarono 4.526 persone. Altri 52.000 contribuirono come volontari. In quell’anno, ci furono anche 15 milioni di visite a pagamento di proprietà del National Trust (The National Trust 2008).
Il successo del National Trust sta nella sua capacità di ottenere sostegno popolare di gente che, in cambio, può beneficiare dalla protezione dei propri beni culturali. Questo suo successo è stato esemplare per organizzazioni in altri paesi che hanno scopi simili.
A complementare i lavori del National Trust vi è l’English Heritage (http://www.english-heritage.org.uk/), un’agenzia governativa per l’ambiente fondata nel 1983.
L’English Heritage è finanziato in parte dal governo e in parte dal guadagno delle sue proprietà storiche e altri servizi. Nel 2007-2008 il finanziamento pubblico valeva £129 milioni; altre fonti erano di £49 milioni (English Heritage 2008).
L’English Heritage lavora in collaborazione con dipartimenti del governo, enti locali, associazioni di volontariato e il settore privato per conservare e migliorare l’ambiente storico, ampliare l’accesso del pubblico al patrimonio e stimolare la conoscenza storica della gente.
Il governo britannico ha anche il potere di dichiarare qualsiasi edificio di “particolare interesse architettonico o storico.” I dettagli sono riportati in un elenco speciale, e gli edifici sono sottoposti a regolari ispezioni.
I proprietari degli edifici che volessero demolire, modificare o ampliare lo spazio d’un edificio elencato, cambiando perciò il suo aspetto originale, devono ottenere un “consenso di costruzione” per poterlo fare. Il governo dà sussidi per aiutare a mantenere edifici e impone sanzioni severe per modifiche apportate ma non autorizzate di qualsiasi tipo o di negligenza nel mantenere edifici di rilevanza storica. In casi estremi, ciò può includere l’esproprio di tale edificio.
I monumenti classificati comprendono quasi tutti quelli costruiti prima del 1840, un gran numero di quelli costruiti tra il 1840 e il 1914, e quelli costruiti tra il 1914 e il 1939 considerati di alta qualità o d’interesse storico.
Negli ultimi trent’anni circa, nel Regno Unito, l’apparato giuridico e amministrativo per sostenere e far rispettare la conservazione dei beni è diventato più sofisticato e potente rispetto al passato. Il numero di edifici elencati è cresciuto da 1/140 a 1/40. Oltre 1,5 milioni di edifici sono ora sotto la protezione legale del patrimonio culturale, e questo numero sta crescendo di anno in anno (English Heritage fornisce alcune statistiche su http://www.english-heritage.org.uk/server/show/nav.1373).
La rivoluzione industriale che iniziò nel XVIII secolo nel Regno Unito e che trasformò completamente la società Inglese nel XIX secolo, si diffuse rapidamente in altri paesi europei che, a loro volta, cominciarono ad affrontare i propri problemi nel mantenimento di patrimoni culturali. Tutti, prima o poi, incontrarono difficoltà simili sul da farsi.
Eventualmente, queste esperienze portarono alla pubblicazione della Carta di Venezia (http://www.icomos.org/venice_charter.html) nel 1964, in seguito ad una conferenza a Venezia dove i rappresentante di molte nazioni si riunirono per scrivere una dichiarazione di come affrontare la questione della tutela e della conservazione del patrimonio. La Carta di Venezia stabilì che il patrimonio si estende ben oltre edifici ed opere d’arte famose:
ARTICOLO 1. La nozione di un monumento storico comprende non soltanto la singola opera architettonica ma anche il contesto urbano o rurale in cui vi è la testimonianza dell’esistenza di una civiltà, uno sviluppo importante o un evento storico. Questo vale non solamente per le grandi opere d’arte, ma anche per opere storiche più modeste che hanno acquisito un significato culturale con il passare del tempo.
I successivi accordi internazionali tra UNESCO e ICOMOS (Consiglio Internazionale dei Monumenti e dei Siti, http://www.international.icomos.org/) hanno costruito sulle fondamenta della Carta di Venezia. Questi forniscono uno sfondo morale per la necessità della conservazione, e soprattutto i mezzi per ottenere consigli pratici, sostegno internazionale e finanziamento per proteggere tali luoghi od oggetti.
La Corea del Sud è economicamente e tecnologicamente un paese avanzato e anche un membro delle principali organizzazioni internazionali che si occupano di conservazione di cultura e patrimonio storico, come l’UNESCO e ICOMOS.
Tuttavia, i risultati ottenuti dalla Corea del Sud nel conservare il proprio patrimonio, hanno ottenuto un esito ambiguo date le grandi quantità di patrimonio che vengono distrutte ogni anno. Per esempio, sebbene il Palazzo Changdeokgung è stato restaurato, i palazzi antichi della zona adiacente di Bukchon vengono inesorabilmente distrutti nonostante la zona sia stata designata come distretto storico con lo status di conservazione. All’interno di Kahoi-dong (Gahoe-dong), circa la metà degli originali hanok sono stati completamente demoliti dal 2001 e la distruzione continua. Purtroppo, i fondi pubblici stanziati per la conservazione e la protezione sono stati utilizzati per finanziare edifici nuovi nei quali non vengono adoperate ne le travi ne le pietre delle strutture originali. La maggior parte dei nuovi edifici sono fatti di cemento armato ed acciaio piuttosto che dai materiali originali e naturali che rendevano caratteristici gli hanok (vedi http://www.kahoidong.com per altri dettagli e documenti).
Anche in altri paesi ci sono momenti in cui i progetti di conservazione vanno male. Secondo l’UNESCO e il Consiglio d’Europa, ci sono due elementi che vanno migliorati per ottenere migliori risultati nel campo della protezione del patrimonio:
Il primo riguarda la pianificazione territoriale e lo sviluppo a livello nazionale, regionale e locale. Tale programma dev’essere sostenuto dalla legge, la quale può stabilire regole di base per proteggere il patrimonio culturale e naturale. Ci deve anche essere un forte impegno popolare per far rispettare tale protezione.
Il secondo elemento è filosofico e risiede nel contenuto delle politiche urbane. Una politica urbana efficace dev’essere fondata su azioni che contribuiscono ai motivi per le quali le città esistono: come centri di vita civile, come luoghi di scambi ed incontri, e come luoghi dove vi si trova cultura e patrimonio storico.
Per raggiungere questi obbiettivi è necessaria una visione politica. Il patrimonio culturale di una città risiede anche nei suoi quartieri e centri storici; una pianificazione che riconosca questo offre l'opportunità di aiutare a crescere la città e a contribuire al progresso dell'umanità.
Questo tipo di visione è carente in Corea, forse a causa delle sventure del secolo scorso. Durante l’occupazione giapponese, fu tentata l’eliminazione della cultura coreana. Successivamente, la Guerra di Corea provocò immensa distruzione territoriale e cicatrizzò il tessuto della società. I governi militari che seguirono soppressero diritti umani, resero una priorità la crescita economica e stigmatizzarono ciò che era rimasto dal passato come “vecchio stile” e quindi non necessario.
Mentre i coreani parlano con orgoglio, giustamente, della loro cultura, sembra che cerchino d’evitare i traumi subiti nell’ultimo secolo. La cultura che essi descrivono è idealizzata, una finzione che sarebbe potuta esistere se il corso degli eventi del XX secolo fossero stati diversi.
Di conseguenza, i problemi del presente vengono ignorati. La conservazione dei beni in Corea è gravemente lesa da: 1) Regolamenti vaghi. 2) Mancanza di volontà di far rispettare la tutela di questi beni. 3) Mancanza di visione politica. 4) Mancanza di comprensione dell’importanza del patrimonio culturale.
Il confronto tra la Corea e altri paesi per quanto riguarda la tutela del patrimonio è veramente sorprendente. Considerate ad esempio la Varsavia.
Nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale in Europa, oltre il 90% di tutti gli edifici di Varsavia, capitale della Polonia da circa 1.000 anni, furono completamente demoliti. Arrivata la pace, i polacchi affrontarono la questione sul da farsi nella capitale. Piuttosto che costruire una città moderna da zero, i polacchi scelsero di ricostruire la loro città in maniera quasi identica a come era prima della guerra. Poiché moltissimi documenti originali furono annientati o dispersi come i palazzi, i polacchi cercarono nei musei, biblioteche e le collezioni disperse per il mondo le foto, i disegni e i diagrammi che potessero aiutarli a ricostruire la propria capitale. Oggigiorno, i turisti rimangono impressionati dalla bellezza della città vecchia, non rendendosi sempre conto dell’incredibile compito che è stato ricostruirla in tale modo (Diefendorf 1990).
Seoul venne severamente danneggiata durante la Guerra di Corea. Negli anni che seguirono, i governi successivi non si sono accontentati di costruire solo una città nuova al sud di Seoul, ma hanno anche favorito l’abbattimento e la distruzione di quasi tutti gli edifici più antichi anche della parte nord di Seoul. Neanche le forze d’occupazione giapponese erano arrivate a tanto!
Strutture patrimoniali vengono spesso distrutte in zone urbane perché si vuol sfruttare quel terreno per ricavi economici maggiori, o perché si pensa che lo si può utilizzare per scopi sociali più importanti. Eppure, questo modo di pensare ignora il fatto che il patrimonio stesso è un bene economico, e che se gestito correttamente, sarebbe in grado di fornire un continuo flusso di entrate. Milioni di turisti che visitano Londra, Parigi, Venezia e altre città europee esplorano edifici di rilevanza storica, distretti, e qualsiasi altro tipo di luogo od oggetto culturale d’importanza che fanno parta del patrimonio culturale della città. Il turismo culturale offre posti di lavoro, rivitalizza vecchi quartieri e genera nuove opportunità nell’industria del commercio e dei servizi.
In Asia, questo concetto è visibile a Singapore. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Singapore era una città sottosviluppata che mancava di vitalità commerciale. Era una città di zone povere ed occupanti abusivi, dove era difficile persino trovare dell’acqua potabile. Oggi, è una città moderna, con un elevato standard di vita per tutti i suoi cittadini ed un’economia prospera.
Tuttavia, fra il 1945 ed oggi, qualcosa d’importante è quasi andato interamente perso. Mentre la città nuova veniva eretta, la città vecchia fu praticamente tutta demolita. Gli edifici erano in cattivo stato e considerati brutti. Il programma di ricostruzione continuò senza alcun esame o revisione ufficiale fino alla metà degli anni ‘80.
All’inizio degli anni ‘80, il turismo era il terzo settore più produttivo dell’economia singaporiana e contribuì ad un incremento del PIL del 5%. Ma nel 1986, i clienti degli hotel cominciarono a scarseggiare. Le inchieste ed analisi dimostrarono che il tasso di turismo era in calo da diversi anni. Con il loro tipico rigore, il governo di Singapore studiò le opinioni dei visitatori riguardo la loro esperienza lì.
Scoprirono che circa il 70% dei turisti erano provenienti dall’Asia, e stavano lì per vedere il miracolo economico di Singapore: non rimasero delusi.
Ma il 30% dei turisti provenienti da altre parti erano in cerca della romantica immagine storica dell’isola. Essi rimasero delusi. Perché girare mezzo mondo solo per vedere una città moderna come quelle del proprio paese? I visitatori non provenienti dall’Asia erano coloro che inizialmente stavano facendo crescere il turismo, ma delusi dalla loro esperienza, cominciarono a scoraggiare gli amici, i colleghi e le famiglie dal visitare l’isola.
In un rapporto ufficiale, il Tourism Task Force del governo singaporiano concluse: “nel tentativo di costruire una metropoli moderna, abbiamo rimosso elementi del nostro fascino orientale, in particolare con la rimozione dei nostri edifici antichi.”
Vennero così organizzate squadre di burocrati per studiare il modo in cui altri paesi erano riusciti a conservare e gestire il loro patrimonio storico, specialmente i loro edifici. Le demolizioni cessarono. Molti fondi furono versati nelle riparazioni e nella conservazione del poco che rimaneva. A differenza della Corea, per garantire l'autenticità storica dei vecchi edifici fu investita una grandissima cura. Entro sei anni, la vecchia China Town, Little India e altre zone furono rimesse in sesto. Nel 1993, i ricavi dal turismo erano cresciuti al 10,3% del PIL singaporiano.
Nell’aprile del 2006, durante un discorso alla Yale University, il presidente Cinese Hu Jintao parlò del perché il suo paese stesse ponendo grande enfasi sulla protezione e la conservazione del patrimonio culturale:
“Il mondo è uno scrigno dove sono riposte le conquiste culturali della gente di tutti i paesi. La cultura di una nazione parla dell’evoluzione della conoscenza di vita e del mondo di quella nazione, sia nel passato che nel presente.”
“La cultura quindi è un’espressione fondamentale dei processi mentali e del comportamento di un popolo. Il processo storico dello sviluppo umano riflette il modo d’interagire di diverse civiltà, le quali hanno tutte contribuito a tale sviluppo a modo loro.”
“La diversità culturale è una caratteristica fondamentale di una società e del nostro mondo, e sopratutto un importante forza motrice per lo sviluppo dell'umanità. Come la storia ha dimostrato, nel corso delle interazioni tra civiltà, abbiamo bisogno non solo di eliminare ostacoli naturali per superare l’isolamento fisico, ma abbiamo anche bisogno di rimuovere le ostruzioni della mente e superare quindi pregiudizi e incomprensioni.”
Oggigiorno, la sfida, l'opportunità e i rischi sono maggiori rispetto ai tempi della rivoluzione industriale Britannica.
Le tecniche di costruzione moderne possono immediatamente trasformare interi distretti: a confronto, la rivoluzione industriale in Gran Bretagna era un lungo e piacevole affare.
Inoltre, la globalizzazione comporta rischi che non esistevano per le economie industriali maggiori del tardo XVIII, inizio XIX secolo. Gli inglesi, i francesi ed i tedeschi misero tutti la loro impronta nazionale indelebile sull’utilizzo di nuove tecnologie e tecniche. Oggi, una delle conseguenze della globalizzazione è che le nuove città che emergono in Asia diventano sempre più simili l’una all’altra. Le individuali differenze culturali che nacquero dai paesaggi, dalle lingue, le religioni, il clima e aiutarono a definire ogni città e la sua gente sono stati sostituiti da una matrice standardizzata che riflette le nuove tecnologie di costruzione piuttosto che la cultura di un popolo. In questo nuovo paesaggio urbano, le persone devono conformare la propria identità alle moderne città in cui vivono e non in quelle storiche trasmesse da generazioni immemori. Questa omogeneità globale a scapito della diversità culturale è sicuramente un pericolo moderno.
La Corea del Sud si distingue tra le nazioni dell’OCSE per la sua mancanza di rispetto per il proprio patrimonio culturale e per la sua incapacità di rispettare i termini della Carta di Venezia, come dimostrano chiaramente gli avvenimenti recenti a Gahoi-dong. Se la Cina, ancora un paese in via di sviluppo, e Singapore possono entrambe trovare gli stessi valori sociali, spirituali ed economici per preservare il proprio patrimonio come hanno fatto altri paesi, sicuramente ci possono essere simili vantaggi per la Corea. Ma il tempo sta scadendo, come successe nel caso di Singapore. Presto, non rimarrà quasi nulla dell’eredità storica degli antichi edifici di Seoul fuorché i comunicati che promettevano la conservazione e la protezione di una visione particolarmente Coreana di come un popolo, la sua cultura e il suo paesaggio potessero coesistere in armonia.
David Kilburn
Seoul, luglio 2006 16 e Tokyo, 4 aprile 2009
Opere Citate
David Kilburn è il fondatore di kahoidong.com, un’organizzazione di tutela dei beni culturali a Seoul.
Traduzione Italiana di Daniele Pestilli / Translated into Italian by Daniele Pestilli