Di John M. Glionna, Los Angeles Times, 17 ottobre 2010
Inviato a Seoul
È noto come lo straniero esuberante, il paladino che ingaggia una lotta per «il distretto dove si ritrova
la bellezza». David Kilburn ricorda la prima volta che passeggiò per Kahoi Dong, un’enclave collinare
situata nel cuore di Seoul dove gruppi di edifici tradizionali chiamati hanok decorano le stradine strette
e tortuose.
Era ventidue anni fa, ma l’inglese, Kilburn, non può dimenticare la serenità che provò quando mise
piede in una di quelle casette storiche a un solo piano. Era come tornare indietro nel tempo, alla
pittoresca Seoul di un secolo fa. Rimase esterrefatto dalla meraviglia delle antiche travi di pino, la
graziosa curva del tetto di tegole nere, le alte mura che circondavano il cortile come un bozzolo,
il portone di legno che sembrava costruito appositamente per proteggere gli abitanti dagli sterili
grattacieli che profilavano minacciosamente a breve distanza.
«Era un luogo di magico splendore» dice Kilburn. «Volevo vivere in una di queste case. Volevo
possederne una.»
L’ex giornalista Kilburn fu inviato a Seoul per le Olimpiadi del 1988, ma innamorandosi
dell’architettura tradizionale, decise di rimanere più a lungo. Fu così che lui e la sua moglie Coreana,
Jade, presto comprarono un’abitazione hanok.
Ma la vita lì fu tutt’altro che serena.
Da sei anni, Kilburn sta lottando contro i funzionari della città per ciò che lui chiama la sistematica
distruzione degli hanok di Kahoi Dong. Nonostante sia stata nominata una zona protetta decenni fa,
spiega l’inglese, centinaia di hanok sono stati demoliti da sviluppatori e speculatori che fanno uso di
lacune giuridiche per trarre profitto dal crescente valore del terreno.
Questa battaglia ha trasformato il mercante di tè 67-enne in un attivista non molto amato: uno straniero
che insiste che la Corea del Sud non sta facendo abbastanza per fermare l’obliterazione del proprio
patrimonio culturale.
Viene chiamato il «Guardiano di Case Hanok» e conduce una campagna appassionata per proteggere
l’architettura che ama. Con i suoi capelli brizzolati, è come un nonno che ama leggere nella quiete del
suo ufficio a casa. Ma basta menzionare la sorte degli hanok che una scintilla di malizia gli illumina gli
occhi.
I funzionari della città riconoscono il fatto che molti tentativi di conservazione non abbiano avuto
effetto. «Stiamo cercando di conservare gli hanok» dice Han Hyo-dong, direttore comunale del
Settore Culturale degli Hanok. «Ma non abbiamo nessun potere legale. Non la possiamo fermare [la
distruzione]. Stiamo cercando d’approvare leggi per far rispettare i nostri sforzi di protezione.»
Questo non basta a Kilburn, che nel 2005 creò un sito web per documentare le demolizioni nella zona
protetta, dove egli spiega che il numero di hanok è sceso a meno di 900 dai circa 1.600 esistenti nel
1985.
Dice d’aver fatto causa in tribunale e d’aver assillato polizia e funzionari comunali, incluso il
presidente Lee Myung-bak, quando era sindaco di Seoul dal 2002 al 2006.
Armato d’una macchinetta fotografica, Kilburn documenta le demolizioni, suscitando un’ondata
d’attivismo tra i Sud Coreani. Molti hanno contattato i funzionari della città per esprimere il loro
dispiacere per la demolizione degli hanok e suggeriscono di far costruire un database per monitorare il
futuro di ogni hanok a Seoul.
Utilizzando una mappa pubblicata sul sito internet di Kilburn, http://www.kahoidong.com, alcuni
bussano alla sua porta senza preavviso per registrare un video nella sua abitazione, per parlare e far
la loro parte nel protestare queste demolizioni. Così, Kilburn tira fuori la sua telecamera e li registra
mentre raccontano di queste case tradizionali che ricordano dalla loro infanzia, e spiegano che
bisognerebbe amarle, non raderle al suolo. Kilburn ha raccolto decine e decine di questi video sul suo
sito.
«È grazie a lui che queste case continuano ad esistere» dice Jung In, la proprietaria di un negozio li
vicino. «Per me, non è uno straniero. È più coreano di molti coreani.»
Non tutti sono entusiasti. Anche se molti funzionari della città accolgono pubblicamente l’interesse che
Kilburn ha per gli hanok, molti lo vedono come un parassita.
Nel 2006, le tensioni per le sue proteste risultarono in liti fisiche. Mentre registrava con la sua
telecamera una di queste demolizioni illegali, dice Kilburn, venne aggredito da un lavoratore che lo ha
buttato a terra. Ma fu Kilburn che poi venne accusato d’aggressione.
Lasciò la Corea del Sud per due anni ma tornò a marzo, pronto per riprendere la sua
battaglia. «Pensavano che la mia partenza significasse che si erano liberati di me», sogghigna
Kilburn, «ma sono tornato.»
La battaglia è iniziata nel 2004 quando un vicino ricostruì il suo hanok, causando danni all’abitazione
di Kilburn. Scoprì presto che molti altri proprietari li vicino stavano usando sussidi municipali e prestiti
a basso interesse per demolire le case tradizionali per far spazio a strutture più moderne, aggiungendo
piccoli abbellimenti qua e la per farli sembrare come gli hanok originali.
Le ricostruzioni, dice Kilburn, diedero al distretto «tutta l'autenticità di un set cinematografico».
Eppure, alcuni abitanti di Seoul dicono che non è pratico insistere sul conservare le strutture originali,
molte delle quali sono rovinate a tal punto da far entrare la pioggia e il gelo invernale.
Molti residenti più anziani ammettono che scambierebbero volentieri il loro hanok per un caldo
appartamento in un grattacielo moderno. Altri non vedono l’urgente bisogno di restaurare case che
sono state costruite abbastanza recentemente – negli anni ’20 e ’30 – non secoli fa.
Tali atteggiamenti prevalgono anche in altre nazioni. Soprattutto in Asia, dove in tempi recenti si sta
vivendo una mania di costruzione senza precedenti, le città stanno rapidamente cancellando il proprio
passato. Pechino sta abbattendo hutong tradizionali, ovvero vicoli che sono esistiti per secoli. L’uso dei
bulldozer è altrettanto frequente ad Hong Kong.
Ma Kilburn rimane incrollabile.
«In ogni paese, ci sono dibattiti su ciò che si dovrebbe conservare dal passato e ciò che dovrebbe essere
scartato. Ogni paese tende a mantenere i propri palazzi reali, i castelli e le dimore storiche» scrive
Kilburn. Ma meritano attenzione anche le case folcloristiche di gente comune, ci spiega.
Il suo vangelo pare si stia diffondendo. Di recente, a Kilburn è stata offerta una mano da alcuni studenti
universitari che vorrebbero unirsi alla sua causa per la protezione dei beni culturali.
«David mi ha detto che la cultura coreana non è solo per la Corea, ma per il mondo» ha detto Haam
Ye-rim. «Se non apprezziamo le case hanok, chi lo farà per noi?»
Ethan Kim del The Times’ Seoul Bureau ha contribuito a questo articolo.
Copyright © 2010, Los Angeles Times
Traduzione in Italiano di Daniele Pestilli